Game of Thrones: ritorno a Grande Inverno – Commento all’episodio 8×01

by Manuel Koch
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La scorsa notte – alle 3.00, ora italiana – si è finalmente interrotta la trepidante attesa che si era trascinata per quasi due anni. Era l’agosto del 2017 quando Viserion, il drago di ghiaccio, distrusse la Barriera, dando di fatto inizio alla Grande Guerra. Ora le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di HBO, tratte dal ciclo di romanzi di George R.R. Martin, riprendono da quel punto e gli abitanti di Westeros tornano a popolare gli schermi di tutto il mondo con l’ultima, epica stagione. Uno degli eventi televisivi più attesi di sempre! Ecco il commento all’episodio 8×01.

Partiamo dalla sigla

In questa ottava stagione, come rivelato attraverso alcuni leak nei giorni precedenti alla messa in onda, la grafica dell’opening appare completamente rinnovata: l’esordio è sancito dall’attraversamento della Barriera distrutta, ma la novità visiva più rilevante è rappresentata dall’esplorazione degli ambienti interni delle varie location e dei loro “tesori” (nel “tour” della sigla vediamo ad esempio il teschio di Balerion nei sotterranei della Fortezza Rossa e il celeberrimo Trono di Spade).

Ma il desiderio di rinnovamento estetico è accompagnato da un determinante e rifiorito sentimento di conservatorismo narrativo. Ciò che infatti emerge in modo netto nel primo episodio della “Final Season” è il nostalgico, struggente, simbolico ritorno alle origini della saga. Un ritorno segnato però dalla maturazione drammatica e drammaturgica degli eventi e marchiato dal greve sentimento del tempo trascorso. Lo stesso titolo dell’episodio, Winterfell (cioè Grande Inverno), suggerisce l’ideale chiusura del cerchio che si era aperto con il pilot, Winter is coming, proprio nella sede degli Stark.

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All’inizio della puntata vediamo un bambino del Nord che tenta faticosamente – e mosso da una curiosità veemente – di trovare un posto strategico per poter scorgere al meglio l’imponente arrivo dell’esercito degli Immacolati e dell’orda Dothraki a Grande Inverno. Questo mentre la colonna sonora recupera le note che avevano accompagnato, molto tempo prima, l’ingresso del re Baratheon nel Nord di Eddard Stark. Il bambino si arrampica poi su un albero e contempla la scena. Inevitabili reminiscenze invocano quel Bran di Winter is coming (1×01) eccitato per l’arrivo di Re Robert e della Regina Cersei. Questa volta però i sovrani che approdano a Casa Stark sono la madre dei draghi, Daenerys Targaryen, e il legittimo erede al Trono, Jon Snow.

L’Incipit di Winter is coming…

…in cui un guardiano della notte si imbatteva in una composizione ordinata di cadaveri sulla terra boschiva, è rievocato in questo episodio nella scena in cui il piccolo Ned Umber viene ritrovato morto a Ultimo Focolare in una spirale composta da arti umani e dal corpo dello stesso ragazzo. I riferimenti al “proemio” della serie sono molti e, oltre a vellicare inevitabilmente la sfera emotiva di tanti spettatori, rischiano anche di apparire come elementi talvolta gratuiti appartenenti al pacchetto “Fanservice”. Apprezzabile risulta però la reintroduzione, seppur marginale, dell’erotismo tradizionale della serie – l’orgia alla quale si accinge a partecipare Bronn – che, insieme al sangue, nel potente binomio Eros-Thanatos, aveva caratterizzato le prime stagioni di Game of Thrones, coerentemente allo spirito dei romanzi. Infatti, tale erotismo, nelle ultime stagioni, era stato trascurato in virtù – forse – di un’apertura commerciale rivolta ad un pubblico sempre più ampio. Vedremo come lo stile della stagione finale si evolverà nelle prossime settimane…

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L’episodio 8×01 si svolge quasi tutto a Grande Inverno, location che – lo si intuisce presto – sarà più che mai centrale in questa stagione: la sede di Casa Stark, dove tutto ebbe inizio.

La famiglia Stark, unita solo nel primissimo episodio della saga e poi via via spezzata e trafitta da una serie sconfinata di avvenimenti nel corso delle varie stagioni, riunisce i suoi membri sopravvissuti e si stringe in un commovente abbraccio invernale:

Jon, Sansa, Arya e (il corpo di) Bran assieme, per la prima volta, ora che l’inverno è davvero arrivato.

E se la presenza nelle fredde e innevate Terre del Nord dell’eunuco Varys e della Madre dei Draghi sorprende e disorienta, vedere il “Folletto” Tyrion che torna a calpestare i pavimenti di Grande Inverno richiama alla memoria, ancora una volta, gli atti di esordio di questa grande epopea.

L’episodio, costituito perlopiù da micro-segmenti scenici che si susseguono in modo relativamente frenetico, e privo di vere e proprie sequenze estese, sembra però procedere con un andamento lento, dovuto principalmente alla povertà di avvenimenti concreti in grado di produrre significativi avanzamenti narrativi. Si tratta di una puntata di assestamento, fatta di reunion, ritorni, incontri, e soprattutto sguardi, sguardi e ancora sguardi… tanti, troppi. Un episodio, tutto sommato, un po’ sottotono.

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L’atmosfera nel Nord, così come ad Approdo del Re, risulta tuttavia sufficientemente suggestiva. Le alleanze sono fragili e il freddo vento dell’Inverno sembra alimentare le tensioni tra le casate.

Percepiamo sulla pelle l’attesa e la paura della guerra

Grande Inverno si prepara e si organizza, sul piano operativo e psicologico, e assume la forma di un’inquieta anticamera di battaglia, che seppellisce nel silenzio e nei sussurri le agitazioni che si muovono e che crescono.

Degna di citazione è l’interpretazione di John Bradley, che riesce a incarnare un Samwell Tarly mutato, maturato e profondamente perturbato. Goffaggine e lutto si mescolano, in una sorta di intima tragicommedia, nel suo volto e nei suoi agitati movimenti quando apprende da Daenerys della morte del padre e del fratello, così come quando, nelle cripte della fortezza, rivela a Jon Snow la verità sulla sua identità di Targaryen.

L’episodio si conclude, infine, con l’improvvisa comparsa a Grande Inverno di Jaime. Il suo sguardo, dopo tanti anni, incontra inaspettatamente e con grande turbamento lo sguardo, ora impassibile, distante, trascendente di Brandon Stark. Un’ultima volta – ora ancor più esplicitamente – gli sceneggiatori vogliono ricondurci simbolicamente al principio della storia: la fatale caduta di Bran dalla torre, che segnò la chiusura del primo atto.