Il replicante di Ryan Gosling vagabonda attraverso la trama alla ricerca di un’umanizzazione impossibile, duro, praticamente inespressivo. Non è Rick Deckard, non è Harrison Ford, ma non vuole neppure esserlo. È lo specchio di una società apatica, sempre più succube della tecnologia. In questo senso Blade Runner 2049 attualizza ancora di più i temi del primo film e li porta ad un altro livello. Dalla coscienza dei replicanti si passa a parlare di creazione e procreazione (temi che Scott ha sempre avuto a cuore a quanto pare).
A livello estetico e tecnico Blade Runner 2049 è davvero immenso e in grado di eguagliare il suo precursore. C’è tanta imponenza sottolineata da una colonna sonora di Hans Zimmer che fa il verso a quella di Vangelis (ma ne rimane distante lontana anni luce).
Denis Villeneuve fa suo il film imponendo una visione personale. Ogni immagine è scelta e ogni inquadratura fluttua nell’ambiente regalando alcuni momenti insuperabili. Tra tutti: la scena sul tetto con l’ologramma, la sparatoria nel teatro di Las Vegas, il combattimento finale nell’acqua.