Mute (2018): il film Netflix di Duncan Jones è un film sbagliato

by Luke
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Mute

Mute è l’ultima fatica di Duncan Jones, distribuita direttamente sul servizio streaming di Netflix.

La trama di Mute

Il film, un noir sci-fi, segue l’indagine di un uomo muto, Leo, in cerca della propria ragazza, Naadirah, improvvisamente scomparsa senza lasciar spiegazioni..

Il film

Duncan Jones, figlio d’arte di un certo David, esordì al cinema con Moon, film di fantascienza non semplice, con un solo attore ad occupare la scena praticamente per quasi tutta la sua durata. Da Moon (2009) sono passati parecchi anni, e per l’opinione comune la giovane promessa si è eclissata, dirigendo solo prodotti mediocri, destino comune a Neil Blomkamp, altro asso della fantascienza ormai mollato dalla Hollywood che così precipitosamente si era affezionata a lui.

Mute

Ma come si può anche solo sperare di eclissare il successo di un film immediatamente ritenuto un capolavoro? Situazione non semplificata se quel film ormai così stigmatizzato nella memoria collettiva è la tua opera prima, magari frutto di mille casi diversi. Cosa abbiamo imparato oggi? Mai divinizzare subito un regista.

Quindi Duncan Jones non ha smesso all’improvviso di sapere come si gira un film, o di dirigere bene gli attori. No, anzi… Ma è una artista che ha intrapreso una via non ben segnata, confusa, in evoluzione.

Fatta questa contorta premessa si arriva al punto: Mute, è un buon film? No.
Ma è un brutto film? Nemmeno, a mio parere. Ed essendo l’articolo il mio, beh è il mio parere qui che avrete. Se fosse stato completamente da buttare l’avrei ammesso subito, non sono qui a voler difendere il film. Ma qualcosa di inspiegabile ha trasmesso..

Mute

Mute di Duncan Jones è un film difficile, tanto da vedere quanto da analizzare, e non molto riuscito.

In una Berlino del 2052, che sembra più la Los Angeles del 2019 di Blade Runner, si dipana un complesso, confuso e sfilacciato noir. Protagonista è Leo, un amish muto interpretato con pacata dolcezza da Alexander Skarsgård.
Leo è un uomo fuori dal tempo, devoto ad una anti-tecnologia indottrinatagli dalla propria famiglia. Vive in una società che gli ricorda sempre che un “difetto” come il suo è anacronistico, in un tempo in cui le protesi chirurgiche migliorano e rendono completa una persona con qualsiasi tipo di difformità.

In questo noir cyberpunk ogni vicolo mostra una società in cui le pulsioni sessuali, anche le più perverse, sono corrotte e sfruttate dal criminale di turno, e in cui tutti finiscono per dannarsi, senza volerlo davvero.

Mute

C’è poco “cyber” in questa pellicola: gli avanzamenti tecnologici e gli elementi futuristici, come i robot, sono solo apparenza. In questa metropoli il cui l’orizzonte è sempre occupato da alti grattacieli pieni di luci e mezzi volanti sfrecciano nel cielo perennemente grigio, si può guidare anche per le strade, con normalissime auto a quattro ruote. Nessun androide o schermo digitale per le strade, luminose, pulite, e soprattutto umane. Mentre gli interni sono esattamente gli stessi di oggi, con qualche tocco retrò.

Si dipinge così un futuro forse più verosimile, ma, a causa delle predominanti influenze di colori e atmosfere da Blade Runner e dalla fantascienza di Terry Gilliam, il risultato è un pasticcio affascinante e disorientante

Se Leo in tutto ciò incarna la purezza, a rappresentare nel modo più interessante l’umanità perversa ci sono due americani, interpretati magistralmente da Paul Rudd e Justin Theroux, usciti direttamente dagli anni ’70.  Il primo, un redneck violento e cinico con un paio di baffoni, risulta il vero co-protagonista, (complice un Rudd che ruba spesso la scena al Leo di Skarsgård, troppo poco approfondito); mentre il secondo, a metà tra John Lennon e Kurt Cobain, è un personaggio estremamente disturbante, a cui è dedicato uno dei momenti più intensi del film, e interpretato da un ottimo Justin Theroux.

Mute

Le storie di questi personaggi si intrecciano, rimescolandosi continuamente durante tutto il film, portando a dubitare dell’esistenza di un vero collegamento tra loro, mentre il filo principale sarebbe l’indagine di Leo, troppo spesso messa in secondo piano, in un film forse esageratamente lungo e dal ritmo altalenante, che tradisce anche momenti di scrittura pigra, fino a risultare estremamente noioso in alcuni punti.

Mute è quindi un film confuso, difettoso e forse per questo stranamente affascinante

Un film pieno di tante suggestioni e riferimenti ad altri film e a mille altri generi. C’è Leòn, c’è Il Grande Lebowski, ci sono i Coen ma non solo loro. C’è Blade Runner, ma anche Terry Gilliam. Ci sono i noir più puri, ma anche La Forma dell’Acqua (per una fortuita coincidenza sul finale).
Vi è un “no”, urlato da qualcuno con tale potenza da colpire lo spettatore come lo era quello di Cesare ne L’Alba del Pianeta delle Scimmie.

Vi è un piccolo cameo di Sam Rockwell tale da rendere il film anche un seguito spirituale di Moon.
Mute sembra poi il tipico film indipendente presentato ai festival internazionali di genere, trattando i confini sfumati tra bene e male, giusto e sbagliato, di personaggi malati, mancanti di qualcosa, e tutti a modo loro rotti.

Mute (2018): il film Netflix di Duncan Jones è un film sbagliato 2

Un film che è già tante cose, ma vorrebbe esserne ancora tante altre
Un film che parla di cosa vuol dire essere padri
E sorprendentemente, alla fine, si comprende il vero intento del film, l’ultimo messaggio di un figlio ad un padre ormai tra le stelle.

Mute è un urlo senza suoni, incapace di arrivare veramente dove vorrebbe, ma la cui immagine ci colpisce comunque.


Consigliato a: gli amanti dei noir, della fantascienza, di Duncan Jones. Consiglio comunque a chiunque, un minimo interessato, almeno di provarlo

Trailer:

Cosa dice la critica:

mute imdb  5.4/10

mute rotten tomatoes  13%

Totale
6/10
6/10
  • Trama - 6/10
    6/10
  • Realizzazione - 5/10
    5/10
  • Impatto - 7/10
    7/10
User Review
  • Sending
    Trama
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    Realizzazione
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